Seminario “Fraternità evangeliche in stato di conversione”

Con Fratel MichaelDavide Semeraro

Per sperare è importante pensare… sperare è un dovere teologale.. l’amore, legato alla fede, è creativo, trova i modi per esprimere la compassione… non si spera solo per se stessi, ma anche per chi viene dopo di noi… non “umiliare” lo Spirito Santo che è datore di vita

  1. scenario della Chiesa che è cambiato
  2. luoghi evangelici che possono illuminare la nostra esperienza di comunità: Betania (accoglienza), Nazareth (dove il Verbo prende forma), Cafarnao (dove Gesù ha deciso di andare a vivere da solo)
  3. scenario della Chiesa che è cambiato
    In questo tempo della Chiesa, che non è fatto solo di scandali, perché se ci fermassimo a questo ragioneremmo come il mondo… Gesù nel vangelo dice che gli scandali ci saranno sempre… considerare d’altra parte che la reazione agli scandali della pedofilia è anche segno di un incremento di umanità, come attenzione ai bambini che prima non si aveva (la nostra sensibilità è cambiata da 50 anni fa ad oggi)

Lasidda: “La vita religiosa oggi è come la sala di aspetto di un aeroporto o stazione: tra un aereo e l’altro succede che inizi a guardarti intorno, a conoscere un mondo che non conoscevi”. Così le comunità religiose sono esposte al rischio e al pericolo della vita, ma non siamo sufficientemente attrezzati, forse non crediamo veramente che un certo di tipo di VC è tramontato. Questo cambiamento chiede una rinuncia al “nostro tipo di rinuncia”: abbiamo nostalgia di noi o del Regno di Dio?

Il Vangelo “è la nostra rovina”. Lo capiscono i demoni che dicono a Gesù: “sei venuto a tormentarci prima del tempo”. Il Vangelo mette disordine dove c’era “ordine”, “perfezionismo”. Questo tempo è “molto evangelico” rispetto al passato, perché la Chiesa con il Concilio Vaticano II ha rimesso al centro il Vangelo e non le strutture; per questo va vissuto anche vivere con gratitudine e gioia…

Desiderio di essere più autenticamente possibili discepoli del Signore, se al di là dei titoli ci riconosciamo in obbedienza al Vangelo… tutto il resto è “paganesimo”

Avere una coscienza illuminata; credere senza troppo crederci, senza prendersi troppo sul serio. Il confronto quotidiano che abbiamo con il Vangelo, con i gesti e le parole di Gesù, ci spingono oltre noi e questo ci scomoda, ci crea problemi.

Mc 13: di fronte al tempio di Gerusalemme, alla vigilia della passione, i discepoli dicono a Gesù, mentre più volte lui li ha preparati al “peggio”: “guarda che costruzione!”, quasi a dire “guarda cosa siamo stati capaci di fare”. Ma Gesù risponde che non sarà lasciata pietra su pietra che non sia distrutta.

La verità evangelica di una comunità sta nell’espansione o nella fedeltà quotidiana a ciò che la vita ci chiede?

Non lasciarci prendere dal panico: dobbiamo reiventarci, ripensarci; è obbedienza alla vita che abbiamo. Quando c’è da cambiare, c’è una trasformazione che chiede distruzione, c’è un prezzo da pagare.

Con il Concilio Vaticano II è cambiata la prospettiva della Chiesa, insieme all’immagine di un Dio “dispettoso”; c’è un incremento di intelligenza della fede.

Lo Spirito Santo dato alla Chiesa per aiutare le persone a sperare, da la possibilità, davanti a un problema di trovare la soluzione.

esempi: At 6 – “diaconato” è invenzione delle donne che hanno sollecitato gli apostoli, in forza dello Spirito Santo, a rispondere ad una necessità: le mense.

At 15 – arrivare a “togliere” la circoncisione per rendere più accessibile l’ingresso nella Chiesa (è stato tolto il legame con la carne, lasciando che il cristianesimo si sviluppasse soprattutto sotto l’influenza dell’intellettualismo greco, mentre la valenza di questo segno di appartenenza era nel valore dell’incarnazione); d’altra parte questo cambio dice che per la prima volta la cultura è più importante del dogma e della tradizione.

Siamo stati formati alla mortificazione della carne e alla negazione del corpo, ben presente invece nell’antropologia biblica, ma che si è invece persa nella concezione ellenica.

Mc 9, 38 ss. – il discepolo è colui che per la sua piccolezza (è di Cristo) permette all’altro di dare il meglio di sé.

  1. La Vita consacrata oggi alla luce del Vangelo
    Lo scandalo (sassolino, ostacolo) è quello del Vangelo che non ci permette di camminare come diciamo noi.

La nostra vita consacrata è cosa rara: bisogna avere una “struttura antropologica” con cui Dio ci ha creati, e non “a dispetto” di ciò che siamo; un giovane che decide di non sposarsi, non avere dei figli e non “godere della vita” è strano.

Non ci sono riferimenti chiari alla VC nel Vangelo, ma si possono individuare queste 3 icone: Betania, Nazareth, Cafarnao.

Betania: è un caso anomalo per la cultura del tempo (3 single fratelli che vivono senza sposarsi)

Lazzaro è l’amico del Signore, non dice una parola, si ammala, muore e risorge, senza nessuna pretesa. Cosa non muore in Lazzaro? L’udito: ascolta ancora quando non c’è più niente da attendere. Lazzaro è casto, è vergine perché non pretende, non ha un progetto rispetto all’amicizia con il Signore.

La castità nella VC è maturare la disponibilità senza avere un progetto, e anche quando c’è un progetto, vivere senza attaccamento.

Lc 10, 38 – Marta è “la signora della situazione”, che ha bisogno che tutto avvenga secondo la sua efficienza, mentre si tratta di accettare il mistero dell’altro e di lasciarlo esprimersi.

Nella VC e VR c’è la rinuncia ad una mediazione, quella sponsale, per poter vivere la relazione con Dio, ma condivisa, senza però voler costituire il nucleo familiare; rinuncia alla sicurezza di appartenere a qualcuno.

A Betania ci sono due donne nubili, che vivono insieme, e che hanno una relazione unica con il Signore Gesù, ma Marta non accetta l’unicità di Maria, che rappresenta la rivendicazione della differenza. Marta chiede a Gesù di fare giustizia, ma Gesù “non si mette in mezzo”, non si lascia strumentalizzare, anzi è “più intimo” forse con Marta che con Maria, come si comprende quando la rimprovera, ripetendo due volte il suo nome, come si fa quando ci si capisce subito.
Gesù dice che Maria ha scelto la parte buona per lei, per questo non le può essere tolta.

Nella chiamata dei dodici, Gesù non sceglie dei “talentuosi”, ma vede dei fratelli, delle coppie che sanno lavorare insieme, sanno “cospirare”, unendo le forze. Quando i Vangeli fanno l’elenco dei dodici, ogni nome è alternato con “et et”; sono capaci di lavorare insieme, sapendo fare anche qualche passo indietro.

Gv 11 – davanti alla morte di Lazzaro ci sono due reazioni: Marta organizza il funerale, Maria piange

Gesù chiama e Lazzaro risponde come le pecore al voce del pastore (Gv 10). Lazzaro esce dal sepolcro e Gesù dice: “Liberatelo!”, quasi a dire “che sia se stesso”… Lazzaro non dice ancora nulla, neanche grazie.

Il mistero di Betania è che ognuno sia se stesso, diverso.

La resurrezione di Lazzaro è l’ultimo segno che Gesù compie prima del suo mistero pasquale, e indica liberare la fraternità da tutto ciò che non lo è, per diventare ciò che sia. Le nostre strutture rischiano di non essere fraternità liberate e di non liberare le nostre personalità; si cade in un gioco di ruoli.

S. Tommaso nella Summa teologica dice che l’uomo desidera naturalmente il godimento pieno che ci fa bene, il piacere, che se non si vive in comunità autenticamente, si può trovare altrove, anche in cose non solo cattive, ma meschine.

A Betania Gesù accorda le diverse corde per la sinfonia: non si tratta di andare d’accordo razionalmente (tra “zitelle” è difficile, in questa icona c’è la vita da single). Gesù vuole realizzare il reale, non coltivare l’immaginario; comunica a Lazzaro, Maria e Marta la rispettabilità del reale unico. Anche io nella comunità posso aiutare ognuno a liberarsi. Gesù non si lascia strumentalizzare da nessuno, ma aiuta a vivere la realtà di ognuno.

La nostra testimonianza è di abitare il doppio reale: di ciò che siamo e della situazione che abitiamo.

Castità, come ci mostra San Giuseppe, è mettersi dalla parte del vulnerabile, senza possedere per sé.

È importante assumere la propria solitudine, star bene con se stessi, altrimenti ci si aspetterà sempre qualcosa dagli altri. Si tratta di un “problema di centratura” della persona consacrata, che sia fondata sull’intimità del rapporto con il Signore. A partire da questo centro, sorgono le altre relazioni non “affettive” ma effettive. Nella vita consacrata sono le relazioni effettive che “creano” quelle affettive, a differenza del matrimonio in cui quelle effettive scaturiscono da quelle affettive.

Nazareth: per Gesù è il luogo della “costrizione”, in cui il Verbo fatto carne ha imparato a vivere dov’era e a stare nel reale, perché è il luogo dove Maria e Giuseppe vivono. La prima parola che Gesù dice nel Vangelo è all’età di 12 anni nel tempio di Gerusalemme per prendere distanza dai genitori e così diventa adulto (12 anni era l’età in cui un bambino ebreo entrava nel mondo degli adulti con il “rito del bar mitzvah”).

Adulto significa reclamare la propria indipendenza e vivere nell’obbedienza.

Oggi nella vita consacrata mancano persone adulte (come nella società), che sappiano vivere la propria indipendenza nella comune obbedienza.

Giuseppe accetta e sta nella complessità, Maria prende la parola e chiede a Gesù che siano loro, i genitori, il centro della sua vita, mentre Gesù afferma la sua indipendenza e dice che il centro della sua vita non sono loro.

Siamo noi, le persone, e non le opere il centro della vita consacrata, però non siamo noi al centro, ma che ognuno viva la propria “centratura” nel Signore e che il fratello porti frutto nella comunione

Dopo, Gesù scende con i genitori a Nazareth e sta loro sottomesso, perché è libero; vive le relazioni, ma non si sposa e non ha figli.

Nella vita consacrata l’effettivo deve forgiare l’affettivo nella “libertà di morire”, perché la mia vita è donata, affidata. É importante e necessaria la ricerca costante di equilibrio tra solitudine e vita comune. Non è analoga alla famiglia. La regolarità è importante ancora di più nella piccola comunità; recuperare la disciplina per garantire la solitudine. Sospendere la parola e nutrire la parola. Autonomia, ma non indipendenza.

Cafarnao: luogo in cui Gesù decide di andare a vivere da solo, non si sposa ma non resta con i genitori, lascia il suo nucleo familiare e si circonda di discepoli/e.

L’autorità secondo il Vangelo è al servizio della comunione, il superiore che ammette di sbagliare, permette ai fratelli di poter fallire, di accettare la fallibilità umana.

Ripercorrendo le tre icone…
– Betania: relazioni liberanti e per liberare le persone. L’altro è lì per sé e deve fare il suo cammino di liberazione (nella vita coniugale ci si guarda reciprocamente, nella vita consacrata si guarda insieme nella stessa direzione).

– Nazareth: luogo del reale. Protesta come premessa all’obbedienza.

– Cafarnao: volontà di mettersi sulla strada degli uomini (è un luogo di contaminazione tra greci, pagani ed ebrei) e sta a dire che la nostra vita “non è controllata” del tutto da noi
Non c’è una vita evangelica pura, la nostra vita è “spuria”. Gesù è in cammino, la comunità dei discepoli era itinerante.

Oggi il criterio della vita consacrata non è più funzionare, ma vivere, che significa anche funzionare
Ma noi non siamo in una caserma: è importante chiedere all’altra “come stai?”, non semplicemente “come va?”.

Tra la recriminazione e l’obbedienza passiva c’è il dialogo, in cui però noi siamo “analfabeti”.

Ci vuole la parola “di autorità” che liberi la parola del fratello, ma limiti la deriva familistica. C’è il momento in cui l’autorità si mostra come tale, e il momento in cui si mostra come fratello. L’autorità del superiore si fonda sulla fiducia della comunità. C’è bisogno di spazi di discernimento, valutazione e correzione.

Il la della nostra sinfonia è il Vangelo, che si riassume in 3 parole: dare la vita, nella consapevolezza che gli altri se la prendono come vogliono.

Due criteri: rispetto alla preghiera, che quando finisce non esaurisce il desiderio di pregare; rispetto alla vita comune, che non sia costretto a stare insieme, ma ci fa piacere.

Riflessione comune per formazione iniziale e continua, a partire dalle 3 icone evangeliche

Le tre icone sono interconnesse tra loro, da ognuna si può trarre luce:

– Betania come luogo di liberazione delle personalità di ognuna, in cui si coltiva l’ascolto della Parola, di me stessa e delle altre – rispetto per la diversità dell’altra, facendo in modo che la esprima; è Gesù che permette di accordare la diversità delle corde per creare armonia – solitudine abitata da assumere, pur nella fatica del vissuto, coltivando il rapporto unico con il Signore, ma anche il valore che gli altri sono per me – Lazzaro non parla, ma una volta che accoglie la Parola è liberato.

– Nazareth come luogo della “costrizione”, in cui si vive l’indipendenza nell’obbedienza

– Cafarnao come luogo che scelgo, perché liberata, sono pronta ad andare incontro per la missione, incontro alle altre e agli altri – è un crocevia, ci chiede di riformulare i nostri criteri…

Nelle comunità la costrizione non è stato sempre motivo di assunzione di responsabilità… è importante anche permettere che l’altro sbagli per poter imparare…

Ricordare il passaggio da una vita comunitaria e comunità di vita, ma c’è da tener conto dell’immaturità, della tendenza a delegare responsabilità, dell’umanità…

Preoccupazione per le nuove generazioni: vanno spese e investite energie nella formazione iniziale che non siano “rimediate”, ma siano consapevoli e aderenti alla realtà antropologico-culturale di oggi – formare comunità di formazione con suore, oltre la maestra, che diano il proprio contributo – è difficile educare alla responsabilità e autonomia le giovani di oggi – proporre un’esperienza reale, più corrispondente possibile ai valori che sono importanti per noi, e che possano valere anche per le altre – allenare ad assumere questa solitudine abitata, e condivisa, solidale… importante offrire una narrazione vera della nostra esperienza, non edulcorata, ma che neanche spaventi… educare alla libertà nell’obbedienza che si vive nelle mediazioni.

Chiarirsi obiettivo, perché, per Chi, come stiamo insieme e camminiamo insieme – equilibrio nelle modalità di vita fraterna e salvaguardia della persona, guardando la realtà
Accettazione del reale, come incarnazione/costrizione in cui la mia solitudine cresce in adultità.
Rispetto reciproco della persona – accoglienza della diversità – raccontarsi… qualità della parola
Riflessione condivisa per creare modi più comuni di vivere il Vangelo.
Ognuno dovrebbe partire da sé, mentre siamo più inclini a colpevolizzare gli altri.
Presenza abitata, coscienza di sé, rispettare il mistero dell’altro, decentrarmi… essere libera di esprimere quello che siamo e lasciare che l’altro sia altro…
Coltivare solitudine e silenzio, custodire la vita interiore, abitata e condivisa nella fraternità.
Creare “mentalità comune”… desiderando che l’altro dia il meglio di sé…
Solitudini in armonia per il Vangelo.
Due criteri per la preghiera e la vita comune: tra mancanza e desiderio.
Coltivare la bellezza con cui “riempire” la mia solitudine per vedere il bello negli altri.
Riformulare e liberare con gioia l’oggi nella realtà per vivere il Vangelo.
Atteggiamento di ascolto, l’altro m’interessa, per poter vivere queste dimensioni di rispetto della solitudine nella comunione.

A cura di Liana Campanelli, asc

Roma, 14 – 15 marzo 2019